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Tu quanto devi al mio padrone?

Religione > Sacra Scrittura > Riflessioni Varie sulla Parola > 03/07-25/12/2017


Riflessioni Varie sulla Parola
Tu quanto devi al mio padrone?    

Sul Vangelo di Luca (Lc 16,1-13)

18 Settembre 2016

                                                                                                                           di Sac. Giuseppe Biamonte


Sentirsi debitori di ciò che siamo e abbiamo ed essere riconoscenti davanti a Dio sono la prima condizione per amministrare con saggezza la propria esistenza.

Nel vangelo di questa venticinquesima domenica del tempo ordinario, l’evangelista Luca, inquadra il racconto dell’amministratore disonesto nel contesto di un pranzo cui era stato invitato Gesù.
Chi è l’uomo ricco del racconto evangelico? E chi è l’amministratore?
Dio è l’uomo ricco: tutto ciò che vediamo e abbiamo è unicamente Suo.
L’amministratore, invece, rappresenta ognuno di noi.
In effetti, se ben riflettiamo, siamo custodi e responsabili di tutto ciò che abbiamo ricevuto da Dio: la salute, la bellezza, l’intelligenza, i figli, i fratelli, i genitori, i nonni, il lavoro, la casa, il cibo, i ruoli di responsabilità che ricopriamo, i vicini di casa, gli insegnati, il parroco, il sindaco, l’ambiente etc.
Quest’amministratore fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.
È chiamato a rendere conto.

Alla fine dei nostri giorni, saremo chiamati a presentare il rendiconto della nostra vita.
Notate la frase che il padrone rivolge all’amministratore: «Che cosa sento dire di te?».
Chi è che informa accuratamente Dio su ciascuno di noi, su tutto ciò che facciamo sulla terra?
Sono tutti coloro che hanno avuto fame e sete di giustizia sulla terra. Sono i santi, i nostri fratelli defunti che hanno subito angherie e ingiustizie dai nostri comportamenti sbagliati.
L’amministratore è sgamato.
Noi, siamo sgamati dalle nostre stesse opere fatte contro giustizia.
L’amministratore del vangelo, aveva un importantissimo compito, quello di collaboratore, ossia, di curare i rapporti che intercorrevano tra il padrone e i suoi debitori.
Questo compito l’abbiamo anche noi cristiani, quello di comunicare a tutti la bellezza, la misericordia, la bontà del Signore.
Se noi ci comportiamo disonestamente come cristiani e come cittadini, scandalizzeremo i fratelli e li aizzeremo a nutrire odio verso Dio, la Chiesa e le istituzioni civili.
Nessuno si fiderà e amerà un padrone, un sindaco, un parroco che ha come collaboratori, amministratori come quello della parabola che con il loro comportamenti disonesti li mettono in cattiva luce.
Si pensi agli scandali in politica, nella chiesa, nello sport, nella sanità.
La credibilità passa anche attraverso scelte prese con sofferenza: «non potrai più amministrare».
La rimozione di collaboratori corrotti è necessaria anche se ciò comporta molto spesso conseguenze dolorose.

L’amministratore del vangelo, dopo che ha capito lo sbaglio, dopo che è stato smascherato, cerca di rimediare, di riparare.
Non ripara, però, con i suoi beni, come fece Zaccheo: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Questa volta, inizia a utilizzare lo stesso stile che avrebbe usato il padrone nei confronti dei debitori, quello della misericordia.
Chiama uno, per uno i debitori del suo padrone e condona loro una parte del debito.
Si rapporta con essi non come un tiranno, alla maniera del servo spietato: «Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
“Tu quanto devi al mio padrone?”
Badate bene, non dice: quanto devi a me, ma quanto devi al mio padrone.
Riconosce in sé il fatto che il fratello che ha davanti e che interroga è un debitore come lui verso il padrone.
Tutti siamo debitori del Signore, ossia peccatori.

Quanto è delicato “raccogliere” i “debiti” dei nostri fratelli.
Penso al Sacramento della confessione, dove noi sacerdoti, uomini peccatori, raccogliamo i peccati, i debiti dei nostri fratelli.
Solo se ci sentiamo debitori, cioè peccatori perdonati da Dio, potremmo pronunciare con verità le parole del padre nostro: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Dio non desidera essere pagato in moneta o in natura ma con opere di giustizia. L’opera di giustizia più grande è perdonare le offese ricevute.


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