“Figlio, tu sei sempre con me …”
Riflessioni Varie sulla Parola
“Figlio, tu sei sempre con me …”
Sul Vangelo di Luca (Lc 15,1-32)
11 Settembre 2016 |
di Sac. Giuseppe Biamonte |
Nella parabola viene raccontata la storia di un padre che ha due figli che lasciano in maniera diversa la casa, ma ricevono la stessa misericordia presso il padre.
Il figlio minore, trasferitosi in un paese lontano da casa, vive in modo dissoluto, spende tutto e incontra la carestia.
In quel luogo scopre la “fame”, il “bisogno”.
«Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno».
Il bisogno lo spinge a combinare più guai di quelli già commessi nella sua giovane vita: andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò a pascolare i porci.
Si rivolge a un uomo sbagliato che anziché aiutarlo, lo rovina di più.
Consegna la sua giovane vita a un demonio.
Penso ai ragazzi di oggi che ammaliati dal desiderio di successo, si “mettono”al servizio di gente sbagliata.
A causa di quest’uomo, il ragazzo, perde il profumo e la pulizia della sua casa, di quel “pane” che si mangiava in abbondanza nella casa del Padre. Perde l’odore del “crisma” ricevuto nel battesimo.
La sua persona, ora, puzza dello stesso odore dei porci, i suoi compagni sono divenuti i porci, la sua casa diventa un porcile. Chi si allontana da Dio perde il profumo e la bellezza dell’essere figli di Dio.
Il cibo dei porci occupa il posto del pane degli angeli, dell’Eucarestia.
«Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gli dava nulla».
Quando si arriva a un degrado fisico e spirituale, quando si tocca il fondo, anche il tuo”simile”, ti scarta, ti rigetta.
“Allora ritornò in sé e disse: quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza ed io qui muoio di fame!”
“Si rialzò e tornò da suo Padre”.
Ritornare in sé, prendere consapevolezza del proprio disordine interiore e, rialzarsi sono le condizioni necessarie per convertirsi, per ritornare a Dio.
Per ritornare a Dio occorre riabitare la dimora dello Spirito Santo che ci dà la forza di rialzarci attraverso una sincera compunzione e contrizione.
Quel giovane ragazzo non ce la fa più a vivere in quella situazione di lordura e di “fame”.
«Quando ancora era lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò».
Dio prende sempre l’iniziativa: ci vede, ci corre incontro, ci abbraccia e ci bacia senza rimproverarci nulla.
«Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa …».
Egli “comanda” ai servi, cioè ai sacerdoti, alla chiesa di aiutare i fratelli a “indossare” i segni della nostra figliolanza di Dio.
E’ quello che succede a ognuno di noi quando ci accostiamo ai sacramenti del battesimo, della confessione, della confermazione e dell’Eucarestia: siamo rivestiti dalla grazia, indossiamo l’armatura della fede, “calziamo” la luce della Parola che come lampada guida i nostri passi e prendiamo forza dall’Eucarestia.
La Santa Messa domenicale è la festa del nostro ritorno a Dio, è la festa in cui si celebra la Sua misericordia per noi.
Nella parabola il Padre, deve fare i conti con l’altro figlio, quello maggiore, quello che è sempre con lui, quello che lo serve da tanti anni e che non ha mai trasgredito un suo comando.
Il figlio maggiore riceve la notizia dell’arrivo del fratello da un servo della casa che gli comunica solo una parte della verità, quella che maggiormente lo solletica nel suo orgoglio.
Non gli dice nulla dello stato pietoso in cui era arrivato a casa suo fratello delle parole di pentimento pronunciate dal fratello, nessun accenno sulla corsa, sull’abbraccio, sul bacio commosso del padre, del vestito, dell’anello e dei sandali.
«Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso …».
Da questa notizia scaturisce la rabbia, il rifiuto di entrare in casa, nella chiesa.
«Egli s’indignò, e non voleva entrare».
«Suo Padre allora uscì a supplicarlo».
Ancora una volta è Dio a prendere l’iniziativa e a umiliarsi.
Dio incassa le nostre ragioni.
«Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando».
Il figlio maggiore non rimprovera al padre il fatto di aver ordinato ai servi di portare il vestito più bello, l’anello e i sandali per il fratello, ma di aver organizzato una festa facendo uccidere il vitello più grasso.
Egli non si sente” minacciato” da quei segni.
A lui non interessano i “monili” attraverso i quali il Padre evidenzia la Sua misericordia e della nostra appartenenza filiale, a lui interessa il vitello grasso della casa.
Nel Libro dell’Esodo, accade qualcosa di simile, quando gli Israeliti si fecero un vitello d’oro.
Pensavano di adorare e servire Dio in quell’immagine.
Anche noi possiamo correre lo stesso pericolo del figlio maggiore, quello di “rimanere” nella casa, nella chiesa per un solo e unico interesse, quello di curare e difendere il “vitello grasso” che abbiamo paura di perdere.
Meravigliosa è l’assicurazione che il padre rivolge al figlio maggiore e che rivolge a tutti noi: «Figlio,tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio, è tuo …».
Gesù, aiutaci ad entrare nella logica della Tua misericordia per condividere la stessa Tua gioia che si ha nel ritrovare il Tuo amore che perdona sempre.
.
.