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Il "Favor Iuris" del Matrimonio

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Il Favor Iuris del Matrimonio


di Giovanni Paolo II
dal Bollettino Quotidiano del Vaticano del 29-1-2004

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Karol Józef Wojtyla, divenuto Giovanni Paolo II con la sua elezione alla Sede Apostolica il 16 ottobre 1978, è nato a Wadowice, in Polonia, il 18 maggio 1920.
Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all'umanità intera.
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005,  mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.






... Alludo al favor iuris di cui gode il matrimonio, e alla connessa presunzione di validità in  caso di dubbio,  dichiarata  dal  canone  1060  del Codice latino e dal canone 779 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
Talvolta infatti si sentono voci critiche al riguardo… a costoro sembra che la stessa validità del consenso debba considerarsi spesso compromessa, a causa dei vari tipi di incapacità oppure per l'esclusione di beni essenziali. Dinanzi a questa situazione, i critici menzionati si domandano se non sarebbe più giusto presumere l'invalidità del matrimonio contratto piuttosto che la sua validità.
… Il favor iuris di cui gode il matrimonio implica la presunzione della sua validità, fino a che non sia provato il contrario (cfr CIC, can. 1060; CCEO, can. 779). Per cogliere il significato di questa presunzione, conviene in primo luogo ricordare che essa non rappresenta un'eccezione rispetto ad una regola generale in senso opposto. Al contrario, si tratta dell'applicazione al matrimonio di una presunzione che costituisce un principio fondamentale di ogni ordinamento giuridico: gli atti umani di per sé leciti e che incidono sui rapporti giuridici si presumono validi, pur essendo ovviamente ammessa la prova della loro invalidità (cfr CIC, can. 124 § 2; CCEO, can. 931 § 2).
Questa presunzione non può essere interpretata come mera protezione delle apparenze o dello status quo in quanto tale, poiché è prevista anche, entro limiti ragionevoli, la possibilità di impugnare l'atto. Tuttavia ciò che all'esterno appare correttamente posto in essere, nella misura in cui rientri nella sfera della liceità, merita un'iniziale considerazione di validità e la conseguente protezione giuridica, poiché tale punto di riferimento esterno è l'unico di cui realisticamente l'ordinamento dispone per discernere le situazioni cui deve offrire tutela.
Ipotizzare l'opposto, il dovere cioè di offrire la prova positiva della validità dei rispettivi atti, significherebbe esporre i soggetti ad un'esigenza di pressoché impossibile attuazione. La prova dovrebbe infatti comprendere i molteplici presupposti e requisiti dell'atto, i quali spesso hanno notevole estensione nel tempo e nello spazio e coinvolgono una serie amplissima di persone e di atti precedenti e connessi.
Che dire allora della tesi secondo cui il fallimento stesso della vita coniugale dovrebbe far presumere l'invalidità del matrimonio? Purtroppo la forza di questa erronea impostazione è a volte così grande da trasformarsi in un generalizzato pregiudizio, che porta a cercare i capi di nullità come mere giustificazioni formali di un pronunciamento che in realtà poggia sul fatto empirico dell'insuccesso matrimoniale. Questo ingiusto formalismo di coloro che avversano il tradizionale favor matrimonii può arrivare a dimenticare che, secondo l'esperienza umana segnata dal peccato, un matrimonio valido può fallire a causa dell'uso sbagliato della libertà degli stessi coniugi.
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